Tanti anni fa, quand'ero apprendista chiesi al mio titolare: "Ma perché lo fai così l'impasto?" E lui: "Perchè si fa così e basta.

 

1997, un sabato sera, nella pizzeria dove lavoravo come apprendista/aiuto pizzaiolo nel weekend (lavoro che mi ha permesso di togliermi dalla dipendenza economica famigliare per l’intera durata dei miei studi superiori) pongo al titolare la fatidica domanda: “Ma perché lo fai così l’impasto?” Premetto che non avevo nessun fine losco, non ero un addetto allo spionaggio industriale né cercavo di carpire l’ingrediente segreto per poter replicare quell’impasto che al tempo - avendo 16 anni e digerendo anche le pietre - mi sembrava tanto buono. No, la mia era semplice e genuina curiosità. La domanda che avevo posto al mio titolare era volta a colmare un vuoto conoscitivo: la proporzione tra acqua e farina, la qualità e la quantità d’olio, il tipo di lievito e l’effettiva utilità delle svariate aggiunte (non ricordo di preciso ma penso mischiasse all’acqua del latte e/o della panna). Purtroppo non ottenni la risposta che speravo e dovetti accontentarmi di un perentorio “Perché si fa così …”.

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"Più in là con gli anni  mi resi conto  che quella era la risposta più adeguata."

 

Sono passati svariati anni dall’episodio, nel mentre un po’ d’esperienza devo dire di averla acquisita e ripensando ora quella battuta secca mi vengono diverse riflessioni, ma voglio soffermarmi su un punto in particolare: la trasmissione di conoscenze tra pizzaiolo esperto e pizzaiolo apprendista. Più in là con gli anni riuscii a chiacchierare con quel titolare del suo impasto e fu in quell’occasione che mi resi conto che quella che mi aveva fornito tempo addietro fu la risposta più adeguata.

Mi spiego: pesava - o meglio, misurava - solo l’acqua! Il resto degli ingredienti veniva messo “a occhio”, del motivo per cui scegliesse l’olio di semi a quello d’oliva non v’era traccia per non parlare poi della qualità della farina. Nonostante tutto l’esperienza decennale gli permetteva di produrre un impasto sempre uguale e uguale a quello che aveva imparato a fare da quello che un tempo fu il suo mentore.

E sì, il punto focale è proprio questo: nemmeno la persona che gli aveva insegnato a fare l’impasto avrebbe potuto rispondere alle mie domande.
Purtroppo questo meccanismo di formazione, forte nella prassi ma ignorante della teoria, poteva
essere adeguato un po’ di anni fa ma ora difficilmente può trovare spazio.

 

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Al giorno d'oggi il pizzaiolo non può ignorare la teoria. Farine alternative, nuovi metodi e impasti impongono una formazione continua

La diffusione sempre maggiore di nuove farine specifiche per pizza, di tecniche di lavorazione prese in prestito dalla panificazione (come la Biga) e di una maggior ricerca in campo alimentare fanno sì che anche la categoria del pizzaiolo debba arricchirsi di nuove conoscenze ed entrare in quella che viene definita “formazione continua”.

Forza della farina (W), quantità di proteine presenti (Glutine), maturazione dell’impasto, acidi prodotti dalla fermentazione e il loro effetto sull’impasto, qualità dell’apporto nutritivo dato dall’aggiunta di farine diverse o diversamente raffinate. Sono solo alcuni esempi di concetti che un pizzaiolo deve conoscere se intende lavorare a regola d’arte.

Il pizzaiolo si deve trasformare in un piccolo ricercatore per proporre un prodotto sempre nuovo ed equilibrato dal punto di vista nutritivo nonché BUONO! 

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Marco